Durante l’intera epoca repubblicana la Regione Friuli Venezia Giulia ha mantenuto una divisione interna, segnata dalle due parti indicate nel suo nome, inventato nel 1948. Ciò ha costituito il principale limite allo sviluppo del territorio, già vincolato nelle proprie opportunità di autonomia politica e produttiva dalla presenza del confine con i Paesi dell’Est. Tali limiti avrebbero potuto essere superati, anche in forza della Specialità regionale, con la caduta della cortina di ferro, il successivo allargamento dell’Unione Europea alla gran parte della sezione orientale del continente e la nascita di nuovi Stati sorti dalla disgregazione della ex vicina Jugoslavia. Invece la ridotta volontà politica interna alla regione ha perpetuato la contrapposizione fra le parti, limitando gli spazi per una discussione organica sulle condizioni di crescita della comunità. La rinuncia a un diverso ragionamento su una nuova coesione interna risalta nelle scelte di riordino territoriale, legate alla possibilità di adeguamento alla normativa nazionale e alla necessità di svecchiare una organizzazione degli spazi amministrativi datata e inadeguata. Un simile atteggiamento trova riscontro anche nelle scelte politiche relative alla Grande Distribuzione Organizzata e nelle modalità con le quali lo spazio regionale è stato investito dall’introduzione di strutture commerciali centralizzate, in misura superiore alla media nazionale e non sempre coerente con l’organizzazione storica del territorio. Questo nonostante il Friuli Venezia Giulia mantenga esempi di possibili diversi approcci nei confronti del rapporto fra consumo, popolazione e paesaggio, come suggerito dai casi dei Locali storici e della Barcolana.