Introduzione: Le infezioni causate da Burkholderia cepacia complex (Bcc) in pazienti affetti da fibrosi cistica (CF)
sono spesso correlate ad un aumento di mortalità e l’innata resistenza di questi microrganismi ad un ampio range di
antibiotici complica il trattamento di tali pazienti. Uno dei meccanismi che rendono i batteri più resistenti all’azione
degli antibiotici è la capacità di produrre biofilm.
Metodi: Mediante microdiluizione in brodo e l’utilizzo della tecnologia “Calgary Biofilm Device” sono state valutate le
minime concentrazioni di antibiotico in grado di inibire la crescita di un ceppo Bcc cresciuto in forma planctonica
(MIC) e all’interno di biofilm (BIC). Sono stati paragonati due isolati indipendenti dello stesso ceppo (BTS-2) che, a
distanza di 6 anni (BTS2-00 e BTS2-06), ha notevolmente ridotto la propria capacità di produrre biofilm.
Risultati: I dati preliminari finora ottenuti indicano che l’isolato BTS2-00, produttore di abbondanti quantità di biofilm,
presenta valori di BIC significativamente superiori alle MIC per alcuni degli antibiotici saggiati. Tale incremento è però
molto meno marcato nel caso dell’isolato BTS2-06, che produce biofilm in quantità circa 5 volte inferiore. Le MIC dei
due isolati sono comparabili nella maggior parte dei casi (con l’eccezione della ciprofloxacina per la quale si può
ipotizzare l’acquisizione di un determinante di resistenza avvenuto nel corso del tempo) mentre le BIC di BTS2-06 sono
sempre inferiori rispetto a quelle dell’isolato BTS2-00.
Conclusioni: L’osservazione che BTS2 presenti un incremento della resistenza delle forme sessili rispetto a quelle
planctoniche nei confronti di alcuni degli antibiotici saggiati, non più evidente quando il ceppo riduce la quantità di
biofilm prodotto, avvalora l’ipotesi che la matrice del biofilm costituisca una barriera efficace contro il passaggio di
alcuni antibiotici e dimostra l’importanza di utilizzare test adeguati per valutare l’efficacia della terapia nei pazienti CF.