Si analizzano dapprima le nette scansioni narrative, provviste d’un ricco spessore intertestuale, della 'Psychomachia', il singolare poemetto prudenziano che riconverte l’epopea mitologica virgiliana nella battaglia tra le personificazioni delle virtù cristiane e dei vitia pagani, e se ne trae poi un bilancio: 1) valenza soprattutto etica, sotto le apparenze religiose, della tenzone, governata dai riconosciuti principi del ‘contrapasso’, sul piano operativo, e della 'Steigerung', su quello strutturale; 2) complessità del conflitto, che si tiene lontano da una semplicistica polarizzazione della lotta tra il Bene e il Male, mettendo invece in evidenza insidiosi margini di ambiguità; 3) accanimento dunque dello scontro, che solo a prezzo di molto sangue allegorico può pervenire alla sofferta conquista della 'pax' spirituale. Se il poemetto prudenziano – al tempo stesso 'historisches Epos' e 'moralisches Lehrgedicht', per riprendere le etichette di autorevoli critici – esprime nel modo più chiaro le cifre ideologiche dell’età teodosiana, il confronto con la poesia di Draconzio è particolarmente utile per percepire, a cento anni di distanza, il mutamento in atto della situazione storico-culturale, volto a una riconciliazione generale in campo etico-religioso tra gli ormai affermati valori cristiani e gli antichi anti-valori pagani. Specialmente indicativa in tal senso si rivela l’analisi del 'Romul. VII', dove riincontriamo in ormai serena coabitazione alcuni dei più rappresentativi vincitori e vinti della 'Psychomachia', ponendo fine, per ben più irenica via che in Prudenzio, alla battaglia dell’anima nel corpo.