«Tremenda è la guerra; e la si subisce solamente come una durissima prova per l’elevazione dello spirito», ha affermato Giani Stuparich nei primi anni Venti, rivolto agli alunni della sua scuola; e, toccando il tema dei volontari della Grande Guerra, dei quali aveva condiviso la scelta e il destino: «la morte vi ispiri la vita, la guerra vi ispiri la pace». Di quel quinquennio tremendo che, nel modo più brutale, aprì le porte alla Modernità, questo libro vuol portare testimonianza, lasciando la parola agli scrittori e ai poeti che vissero la guerra in grigioverde e in essa seppero trovare la propria voce; ciascuno con i suoi ideali, l’ampio ventaglio delle motivazioni, la sua irripetibile capacità di sguardo. Una scelta che aggruppa molto fra ciò che di meglio venne scritto avendo negli occhi il fuoco delle vampe e nelle orecchie le grida dei caduti. Quasi con un’ombra di rammarico per aver condiviso, in un arco d’anni pesante come un secolo, qualche scheggia dei sentimenti cattivi della «generazione della mitragliatrice rabbiosa», Piero Calamandrei – scrive nel 1921 – si indirizza anch’egli ai giovani, che noi vorremmo lettori di queste pagine, con parole che nulla hanno perso della loro intensità: «fate ora, o ragazzi, che le vostre generazioni siano le generazioni dell’amore, le generazioni del libro e dell’aratro, pacifico livellatore dei campi dove noi sapemmo soltanto scavare interminabili trincee».