Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento il governo russo avviò un progetto di “colonizzazione” della Siberia, favorendo la migrazione contadina verso est e istituendo in quella regione un sistema carcerario sbandierato come all’avanguardia. Tanto l’intelligencija neo-slavofila che quella liberale e populista accolsero il progetto con entusiasmo. Come spesso è accaduto nella storia russa, fu la letteratura ad assumersi il ruolo di coscienza critica del Paese. Le voci di Vladimir Korolenko e Anton Čechov si levarono, dissonanti in questo coro entusiastico, per raccontare senza preconcetti ideologici un mondo di reclusi e fuggitivi, vagabondi e pellegrini: nelle loro opere di ambientazione siberiana, spesso frutto di un’originale commistione di lirismo e osservazione oggettiva, è rappresentata una realtà di sofferenza e degrado, e tuttavia anche colma di poesia.