L’opposizione parlamentare italiana potrebbe essere utilizzata come un importante indicatore di cambiamento del sistema politico, al fine di verificare, in particolare, se nel corso degli anni vi sia stata una effettiva trasformazione del modello di democrazia, e in quale direzione. Certamente, in questo percorso, possiamo indentificare tre fasi sia per l’una sia per l’altro. La prima, molto lunga, corrisponde agli anni della cosiddetta prima repubblica ed è la fase da molti definita consociativa e caratterizzata da una opposizione ‘dimezzata’ (De Giorgi 2016). La seconda, a partire dalla metà degli anni Novanta, è la fase dell’alternanza e della competizione bipolare, che in termini di relazioni maggioranza-opposizione possiamo definire fase avversariale, con una opposizione che resta comunque ‘incompiuta’. Infine, a partire dall’inizio del 2013 - dopo circa un anno di ‘opposizione sospesa’, durante il periodo del governo tecnocratico guidato da Mario Monti – si è aperta una nuova fase, ancora difficile da definire, in cui l’ingresso sulla scena politica e parlamentare del Movimento 5 Stelle e la conseguente realizzazione di una competizione tripolare – e di un nuovo modo di fare opposizione, per lo meno inizialmente, da parte dei nuovi parlamentari (De Giorgi e Dias 2021) – hanno rimesso in discussione l’assetto che l’Italia si era data nei vent’anni precedenti e anche il ruolo dell’opposizione. In questo paper, ripercorreremo le diverse tappe di ogni epoca, quella consociativa, quella bipolare e quella apertasi con le elezioni del 2013, cercando, innanzitutto, di comprendere le ragioni della mancata svolta in senso pienamente maggioritario sia dell’opposizione sia del sistema politico nel suo complesso, nella cosiddetta fase bipolare, e poi di capire verso quale modello si stiano muovendo entrambi in questa nuova fase ancora in transizione.