Questo contributo illustra alcuni risultati di uno studio di più ampio respiro reso possibile dal Finanziamento di Ateneo per la Ricerca Scientifica 2016 dell’Università
di Trieste, di cui ho avuto modo di illustrare altri aspetti in Ondelli 2019a e 2019b. La ricerca riguarda l’impiego dei verbi procomplementari in corpus di opere letterarie e paraletterarie, tradotte da altre lingue o scritte da autori italiani, nel periodo che va dal 1800 al 2005. Le ipotesi da cui mi sono mosso riguardano da un lato l’incremento in diacronia della frequenza d’uso di questi verbi caratteristici della varietà parlata (Berretta 1994) e dell’uso medio (Sabatini 1985) man mano che si procede verso l’oralizzazione dell’italiano (Antonelli 2011); dall’altro la loro minor incidenza nelle traduzioni in conseguenza della scarsità dello stimolo nelle lingue di partenza (c.d. Unique item hypothesis di Tyrkkonen-Condit, 2004) e della tendenza dei traduttori a rispettare la norma codificata, evitando tratti innovativi o in qualche modo marcati (Baker 1996).