Due monumenti poco noti di Gorizia esemplificano con chiarezza come la retorica di un’italianità fondata sul mito di Roma antica abbia giustificato la redenzione della città, strappata all’Austria grazie alle sue “virtù italiche”. Tale retorica ha continuato a operare per decenni anche dopo la caduta del Fascismo, nelle rivendicazioni dell’italianità dell’Istria da parte degli esuli di Pola ospitati in città e lì pienamente integrati. Il “Monumento ai Caduti della Sesta Battaglia sull’Isonzo (4-7 agosto 1916)”, inaugurato nel 1942, riporta una frase tratta dal Diario di guerra di Mussolini, ora erasa, che sottolinea la naturale continuità fra Roma antica e la nuova realtà italiana. Un’insegna militare romana e un fascio littorio evidenziano come la retorica della romanità, sfruttata già nel periodo pre-bellico, sia stata utilizzata durante e dopo la Grande Guerra per sfociare nell’enorme e capillare apparato propagandistico fascista. Nel 1955 approda a Gorizia la copia dell’Augusto di Prima Porta donato da Mussolini alla città di Pola nel 1935, per ribadirne l’italianità e da lì partito insieme a migliaia di profughi, nel grande esodo del 1947. Il significato della statua romana viene a mutare gradualmente, con il modificarsi delle circostanze storiche: da simbolo della speranza del ritorno in un’Istria nuovamente italiana a generico monito ai giovani ad interessarsi alla storia.