A volte l’architettura è progettata per essere consacrata alle fiamme, per consumarsi e divenire cenere, certa della propria resurrezione. In questo incinerarsi, nell’apparire per scomparire naturalmente, l’obiettivo è duplice: farsi «traccia destinata, come ogni traccia, a cancellarsi da sola sia per far perdere la strada sia per ravvivare una memoria». Jacques Derrida vede nella cenere il resto materiale di una presenza scomparsa e al contempo l’anticipazione di un suo ritornare, un ritracciare ciclico che in qualche modo non confligge più con il consumarsi definitivo della fiamma e del suo tempo effimero. Nell’osservare ciò che resta del fuoco, il filosofo ci riferisce che effimero e ciclico coesistono, che divenire cenere significa lasciarsi assorbire, riconciliarsi con l’altro da noi fino a non appartenerci più. Questo movimento plurale – celebrare-cancellare-riconciliarsi – e questo doppio tempo – effimero-ciclico – sono qui osservati nelle architetture della festa popolare che innervano la cultura dei paesi dell’Italia più interna.