Versione televisiva del omonimo monologo teatrale di Davide Enia.
Anche vista dagli occhi di un bambino la guerra è guerra. È una tragedia vista dal basso, altezza innocenza - quella del piccolo Gioacchino, io narrante dello spettacolo - che si perde un po' alla volta. È lo sgretolamento a tappe di un piccolo nucleo familiare travolto dalle macerie della Storia. Il bombardamento di Palermo in "maggio '43" diventa così per Enia lo sfondo di uno smembramento più profondo: la perdita di paesaggi di riferimento e, con essi, le norme che regolano la vita in tempo di pace. Quel mondo che c'era prima e che soccombe sotto l'incalzare delle bombe e della lotta per la sopravvivenza. Per il piccolo Gioacchino l'iniziazione all'età adulta è un viaggio all'inferno, tra squadroni fascisti e borsanera, sfollamenti e case distrutte. Un "cunto" contemporaneo, dove i paladini sono ridotti a una guerra sporca e violenta, ma dove c'è spazio ancora per un'ultima filastrocca che leghi come fragile prezioso filo d'argento il passato che era e il futuro che sarà.