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Ipparchia di Maronea (IV a.C.)

Izzo, Donatella
2023
  • Controlled Vocabulary...

Abstract
Ipparchia fu una filosofa cinica vissuta nel IV secolo a.C.1. Quasi tutte le fonti in nostro possesso, tarde e piuttosto scarse, sono raccolte nelle Socratis et Socraticorum reliquiae di Gabriele Giannantoni (SSR V I). La fonte più ricca e importante è costituita da una sezione del sesto libro della Vite di Diogene Laerzio (VI 96-98). La Suda allude ad alcuni suoi scritti, dei quali non ci è rimasto nulla. Originaria di Maronea e cresciuta probabilmente in seno a una famiglia agiata, Ipparchia si innamora del cinico Cratete, povero e brutto, tra i cui discepoli figura anche suo fratello, Metrocle di Maronea. I familiari tentano di dissuaderla, e altrettanto fa lo stesso Cratete: «Lo sposo è questo; questi i suoi averi. Prendi una decisione in base a questo. Costui, infatti, non potrà essere tuo sposo, se tu non acquisirai anche il suo stesso modo di vivere» (Diogene Laerzio VI 96 = SSR V I 1). Nulla fa vacillare la ferma determinazione di Ipparchia, che, minacciato perfino il suicidio, ottiene infine di potersi unire al filosofo e di vivere secondo i principi della filosofia cinica. Rinuncia quindi a ogni forma di possesso materiale e si unisce a Cratete pubblicamente (si tratta della celebre κυνογαμία, il “matrimonio cinico”). La loro unione costituisce un unicum anche perché i Cinici erano contrari all’istituzione del matrimonio. L’incoerenza dei due filosofi è tuttavia solo apparente, se si considera che il loro ménage familiare non aveva nulla di convenzionale (mi riferisco anche all’educazione impartita ai figli) e che Ipparchia, come sottolineava Epitteto, era «[…] non una donna, ma un doppio di Cratete»2. Particolarmente noto è l’aneddoto ambientato alla corte di Lisimaco in cui Ipparchia, impassibile, tiene testa alle provocazioni del filosofo cirenaico Teodoro, rivendicando la scelta di dedicarsi alla sua educazione pur essendo una donna: «[…] ti sembra forse che io abbia preso una cattiva decisione riguardo a me stessa, se, il tempo che avrei sprecato presso i telai, l’ho messo invece a profitto della mia educazione?» (Diogene Laerzio VI 98= SSR V I 1). Le fonti, pur scarse, ci permettono dunque di apprezzare l'eccezionalità di questa figura, tra le rarissime donne filosofe del mondo antico, che, attraverso gli aneddoti di cui è protagonista, fa mostra di tutte le principali virtù ciniche: l’ἀναίδεια (“l’assenza di vergogna”), l’ἀδοξία (“la rinuncia alla buona reputazione”), l’εὐτέλεια (“la frugalità”), la καρτερία (“la resistenza”), l’ὀξύτης (“l’acume”), l’ἀδιαφορία (“l’indifferenza”) e la coerenza rispetto ai principi del βίος κατὰ φύσιν (“la vita secondo natura”), e del παραχαράττειν τὸ νόμισμα (“il falsificare la moneta corrente”).
DOI
10.13137/978-88-8303-950-8/35143
Soggetti
  • Ipparchia

  • cinismo

  • Cratete di Tebe

  • Teodoro l’Ateo

  • ἀναίδεια (o spudorate...

  • vita secondo natura

Visualizzazioni
6
Data di acquisizione
Apr 19, 2024
Vedi dettagli
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