L’opera di Zavagno, artista di punta della ricerca artistica friulana, è giunta nelle collezioni dell’ateneo nei primi anni settanta, in occasione dell’apertura del nuovo Centro di Fisica Teorica. È datato agli inizi degli anni settanta, ma riprende la tessitura di altri lavori del decennio precedente, come un Senza titolo del 1962, strutturati su di un’analoga tipologia di intervento sulla superficie metallica. In quell’arco cronologico si colloca infatti la sua reiterata sperimentazione su materiali di estrazione industriale come l’alluminio: “il 1961 è anche l’anno nel quale Zavagno inizia a lavorare in allumini anodici in una trama tissutale seriale rigorosissima, tentando di utilizzare le incidenze luminose dovute alla variante di luce provocata dalla iterate lamelle rialzate di ciascun punto del tessuto. E in questa linea lavora fino circa al 1965, chiaramente in termini di programmazione di effetti «opticals». Negli ultimi anni Sessanta abbandona poi la tessitura tassellata seriale di riquadri per un’organizzazione strutturale a lame orizzontali estroflesse secondo precise volumetrie ritmiche che si affermano come evidenze iconiche formali, sempre utilizzando il gioco delle incidenze luminose variabili” (E. Crispolti, Il lavoro di Zavagno, in Enrico Crispolti, Giancarlo Pauletto, Nane Zavagno, Pordenone, Edizioni d’Arte Concordia, 1987, pp. 14-15). La ricerca di Zavagno, fatta anche di continue reiterazioni di moduli compositivi, rimarrà costante anche nel decennio successivo, cercando nel contempo nuove e più elaborate soluzioni: “oggi la sua inquietudine lo ha spinto ad andare oltre il «quadro», ad operare le sue analisi cinestetiche sui nuovi materiali tecnologici e sul loro porsi come condizionanti non solo dello spazio in cui vengono inseriti, ma della stessa capacità percettiva del fruitore: Quelli che egli crea non sono tuttavia gli «oggettisimbolo » dell’arte cosiddetta «povera», non sono sculture che ripropongano[…] un «oggetto» della realtà, ma campi geometrici in evoluzione visiva, campi d’impegno per l’osservatore, che si pongono oltre il quadro […] si tratta, in altre parole, di opere aperte all’infinita modularità del loro proporsi e della loro stessa capacità di autosvilupparsi in rapporto all’ambiente in cui vengono inserite” (A. Giacomini, in Seconda mostra degli artisti della regione Friuli-Venezia Giulia, catalogo della mostra di Gradisca, Sala Civica 15 luglio – 30 settembre 1972, Trieste, Tipografia Moderna, 1984, p. 114). In sede di valutazione critica verranno in seguito evidenziate le peculiarità di queste ricerche, in grado di offrire “strutture visive che, mediante la luce, si fondano sul movimento chiaroscurale ottenuto con la messa a punto di soluzioni ottico-illusionistiche, superfici lustre e modulate in grado di far scattare una reazione ottico-psicologica. Con gli allumini Zavagno arriva a comporre una spazialità algida che rimanda, per analogia, ad un’altra più ampia e di ordine cosmico, in linea soprattutto con al ricerca condotta negli stessi anni in area tedesca” (A. Panzetta, Nane Zavagno opere 1950-2002 cinquant’anni di attività artistica, catalogo della mostra di Passariano, villa Manin, estate 2002, p.14). L’opera in esame non risulta essere mai stata esposta ne riprodotta.