La Puglia, e il Salento in particolare, come "finis terrae", porta d’Europa, cerniera effervescente tra mondo greco e mondo latino, tra Oriente e Occidente. Prototipo di una nuova socialità interculturale, “metafora totale” di una resistenza a un mondo (a un’Italia) sempre più disumano e volgare, e contro la globalizzazione e il livellamento culturale.
“La mia è una continua e spasmodica ricerca di bellezza, poesia e civiltà nel paesaggio, nella musica, nei volti, nei gesti, nella vita delle genti del Salento, una terra che nonostante gli inevitabili imbarbarimenti di una 'modernità senza progresso' non ha ancora svenduto del tutto l’anima alla cultura dominante del mercato. Non penso che sia migliore di altri posti, ma è il 'mio' posto. Non mi sento isolato. Racconto il Salento perché ne so cogliere sfumature e toni”.
Parlare di ciò che si conosce è per Winspeare la ricaduta operativa di una visione così passionale e totalizzante, quasi primitiva, del mestiere cinema – "io con i film ci faccio l’amore" – da non concedersi il lusso di prescindere dalla verità: dei luoghi, dei volti, della lingua. Ed egli proclama l’ambizione di "fare film con personaggi e sentimenti forti, perché noi, in Salento, siamo fatti così: quando amiamo, amiamo, e quando odiamo, odiamo”.
Portavoce autorevole del cosiddetto “rinascimento pugliese”, Edoardo Winspeare è un vero e proprio “agitatore” culturale a tutto campo. Non solo sceneggiatore e regista, ma anche talent scout e produttore di giovani cineasti, promotore di rassegne cinematografiche ed eventi musicali e paladino della tutela paesaggistica e ambientale.