Il presente saggio si propone di considerare la presenza di Dante nel ‘900 con particolare riguardo alla sua rilevanza per il dibattito teologico-politico, nel senso tecnico di quest’espressione.
Il percorso seguito parte dal confronto tra le tesi di Kelsen e Gilson, accomunate nella critica al dualismo politico dantesco dal punto di vista di una prospettiva teologico-politica monistica, e tuttavia opposte nel rivendicare la supremazia rispettivamente del potere temporale e del potere spirituale, prosegue considerando la difesa che, viceversa, dell’equilibrio dantesco dei poteri viene sviluppata negli scritti di Augusto Del Noce e, sotto altri profili, questa volta in aperto contrasto con il monismo teologico-politico, da Massimo Borghesi, si conclude con il superamento del dibattito sulla teologia politica dantesca, per approdare ad una visione antropocentrica di cui il Fiorentino risulta essere più plausibilmente fautore, che per un verso è stata declinata nell’interpretazione umanistica, a base immanentista, di Ernst Kantòrowicz, e, per altro verso, in una concezione, aperta alla trascendenza, di cui la lettera apostolica di Papa Francesco, Candor lucis aeternae, fornisce la più recente attestazione.