Il contributo si propone di fornire alcune suggestioni, necessariamente sintetiche, in merito alla inadeguatezza del linguaggio del diritto di fronte al tema della diseguaglianza di genere. Partendo dalla critica femminista all’aspirazione universalistica del linguaggio giuridico, si mette in luce come in realtà il diritto sia un dispositivo di potere che “norma” la distanza gerarchica tra maschile e femminile. Attraverso alcuni esempi tratti dal codice penale italiano e risalenti a norme ora abrogate si rende esplicita la funzione “normalizzatrice” della violenza di genere che il diritto ha assolto in Italia. Si concluderà chiarendo come alcuni esempi di penetrazioni delle teorie femministe nel linguaggio giuridico possano essere dati nelle definizioni sovranazionali e convenzionali delle parole “genere” e “femminicidio”, e come l’Italia si dimostri refrattaria ad accogliere entro il proprio ordinamento giuridico termini che scompaginano o interrogano la dicotomia maschio/femmina .