Utilizzando fonti d'archivo, in particolare la banca dati del progetto di ricerca "I cattolici e il cinema in Italia dagli anni '40 agli anni '60", il saggio ricostruisce la filiera realizzativa del film che Mario Soldati trasse dal romanzo omonimo di Fogazzaro, "Daniele Cortis" (1947), prodotto da Salvo d'Angelo per la Universalia. Nonostante la gravitazione in orbita vaticana e le oculate direttive del CCC, lo spirito libero di Soldati si mantiene fedele solo a se stesso, anche nella personale opzione estetica, lontana ed estranea all'imperante orientamento neorealista. Riguardato nel tempo ampio della lunga durata e della comune appartenenza al melodramma cinematografico, il film presenta alcuni punti di contatto con "Senso" di Luchino Visconti. L'analisi narratologica comparata pone in luce singolari analogie non solo tra le protagoniste dei rispettivi film, ma anche tra i comprimari, come la figura viscontiana di Franz e il Barone di Santa Giulia nel film di Soldati, personaggio tanto detestato dagli Enti produttivi ecclesiatici quanto amato dal regista.