Il contributo intende mostrare come la lezione che il mare impartisce dal punto di vista ambientalista e dal punto di vista delle tecniche di sfruttamento delle
sue risorse contraddice ogni nozione statica, isolata e autonoma di identità. La
concorrenza e l’interscambio di ambienti marini diversi per il ciclo di vita del
pescato dimostra tutta la artificialità delle frontiere umane. Il microcosmo del
golfo di Trieste può così diventare un case study per una svolta culturale della città,
ancora impigliata nei suoi nazionalismi passati e presenti e nella giustapposizione
di lingue, etnie e religioni. Il recupero della comune civiltà marittima dell’Alto
Adriatico e della sua dimensione estetica, a partire dallo scambio di narrazioni
circa il proprio rapporto con il mare, è visto come necessario per fare oggi di Trieste
il laboratorio di una nuova etica di frontiera.