Dalla formulazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) delle Nazioni Unite, la questione
ambientale è entrata saldamente nell’agenda delle politiche pubbliche. Diversi livelli di
governo stanno mettendo in atto misure e programmi per guidare le scelte di amministratori,
imprese e cittadini verso il raggiungimento degli Sdgs. In ogni paese le politiche ambientali sono
state strutturate sulla base di tre strumenti: la definizione degli obiettivi da raggiungere, l’individuazione
di sistemi normativi per vincolare l’azione degli attori pubblici e privati ed evitare
che i loro comportamenti causino danni ambientali, la determinazione di incentivi economici
per incoraggiare gli attori ad adottare comportamenti ecologici. Questo sistema di obiettivi,
incentivi e regole si inserisce in un modo dominante di costruire le politiche di transizione, che
si concentra sul mercato e sulla regolazione. È nel mercato che si formano le preferenze per le
tecnologie e le pratiche sostenibili, ed è attraverso la regolamentazione che si interviene laddove
il mercato non fornisce sufficienti benefici ambientali. Chiamiamo questo modo di strutturare
le politiche ambientali «progetto di modernizzazione ecologica», un modello politico che non
tiene conto delle diversità sociali e territoriali. Questa cecità alle diversità sociali e territoriali
riproduce e genera nuove disuguaglianze, perché l’accesso e la reazione a incentivi e vincoli è
diverso a seconda delle condizioni sociali e territoriali. Anche per questo, nelle scienze sociali,
una vasta letteratura sta analizzando il rapporto tra transizione ecologica e disuguaglianza.
È in questo insieme di lavori che si colloca il nostro contributo.