Il diritto deve continuamente adeguarsi alla vita che non accetta mai situazioni statiche e arresti definitivi ma che prospetta continuamente nuove giuste esigenze, nuove progressive acquisizioni di valori e al tempo stesso registra sempre nuove minacce alla realizzazione di un adeguato sviluppo della libertà e dignità umana”. Così Alfredo Carlo Moro, nel 1968, interrogandosi sul ruolo de <em>Il giudice nello stato contemporaneo</em>. Partendo dalla radicale critica allo stato di cose esistente proposta dai magistrati <em>democratici</em> a cavallo degli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, si analizzano sia le obbiezioni allora mosse all’<em>uso alternativo del diritto</em>, che coeve elaborazioni dottrinali, le quali, pur non condividendo gli intenti rivoluzionari di <em>Magistratura democratica</em>, testimoniano un sostanziale ripensamento delle tradizionali categorie della positività del diritto, ritenendo che da tale contesto si possano cogliere ancora utili indicazioni per l’attuale dibattito intorno alle fonti del diritto.