Nella Grecia arcaica, il Cantore ispirato dalle Muse è un eletto; la stessa scrittura filosofica delle origini è in versi o in aforismi oracolari, a mostrare come convivano inizialmente una razionalità logica e una mitologica. Anche in Platone - nonostante l’antica contesa ravvisata tra filosofia e poesia - la forma espressiva dell’indagine si accorda all’indagine stessa per la compresenza e interrelazione di livelli linguistici diversi ('lògos e mythos'; astrazione e immaginazione). Ma, rispetto alla stessa carica veritativa del mito, v’è di più: nella 'Repubblica', la lunga, complessa costruzione razionale della Callipoli è infatti sconfessata nel finale e salvifico mito di Er, dove a fare la scelta peggiore della vita futura sono le anime in precedenza vissute proprio secondo una virtù abitudinaria e non filosofica, pura 'copia di copia', ma la sola dimostrata poco prima praticabile dai più nella Città platonica. Occorre poi guardare alle molte vite dei personaggi mitici e teatrali (per esempio Edipo), la vita loro propria entro la narrazione e quella degli uditori-spettatori che assumono poi su di sé lo stesso senso tragico del proprio esser soli nel mondo. Anche Socrate vive più vite, la sua e quella del filosofo-cittadino esemplare che, rifiutando la fuga, lascia in iscomoda eredità ai suoi giudici la responsabilità della propria morte. Anche lo spettatore-lettore vive due vite diverse nella verità, realmente musicale, del canto e del dialogo tragico cui assiste e in quella della prosa letteraria, che, letta, esige invece il supporto di una musica mentale. I dialoghi platonici sono più vicini alla prima, nonostante la critica all’arte, qualcosa di più complesso e radicale di quanto appare nella consequenzialità appariscente della superficie. Quello criticato da Platone non è, da subito, il vero artista, ma il mimeta generato entro una 'pòlis' votata all’eccesso; il mito 'vero', cioè depurato dalle menzogne soprattutto sul divino che i poeti non hanno saputo evitare di narrare, è invece per lui altrettanto necessario all’educazione dei futuri custodi e la ‘buona’ imitazione resta dunque anche a suo dire un’azione pedagogicamente legittima.