Opzioni
Abstract
Il dipinto si configura come un unicum nella produzione di Sambo. Dal punto di vista stilistico, infatti, l’opera può essere messa a confronto con i primi lavori dell’artista che, dopo aver appreso i rudimenti della pittura presso Giovanni Zangrando, approfondì la propria preparazione attraverso viaggi di studio a Venezia, Vienna e Monaco di Baviera. Nel seguente periodo romano, reso possibile dalla vittoria della borsa di studio Rittmeyer, il postimpressionismo e le eleganze decorative tipicamente secessioniste con cui era finora entrato in contatto lasciarono spazio al libero dispiegarsi di colori avulsi dalla realtà e contrastanti, resi ancor più innaturali da un uso spregiudicato della luce. I risultati di questo sperimentalismo condussero alle positive affermazioni di Sambo nell’ambito della Prima e Terza Esposizione della Secessione romana (1913, 1915) attraverso opere come Macchie di sole (Cataldi 1999, cat. n. 38, p. 52) presentato anche all’Esposizione Internazionale per l’apertura del Canale di Panama del 1914. Sebbene dal punto di vista cromatico il dipinto manifesti un’evidente tangenza con Foro romano, realizzata attorno al 1913 e caratterizzata dall’adozione delle medesime tonalità di violetto (ivi, cat. 42, p. 55) dal punto di vista del soggetto trattato e dell’anno della sua esecuzione l’opera deve essere messa in relazione con le marine realizzate negli anni Quaranta. Benché in tali opere la composizione risulti palesemente più pacata e influenzata dal neocubismo (cui l’artista si avvicina negli ultimi anni della propria attività) in esse si possono ravvisare delle sparute citazioni di cromie che con la loro brillantezza finiscono per movimentare la stasi dominante. Se in Marina (1938; ivi, cat. 122, p. 92) Sambo sembra voler sperimentare l’effetto provocato dai tocchi di pennello “a mosaico” che adopererà in maniera consistente nella Laguna di Grado, più timidi filamenti di colore verde e azzurro percorrono la superficie d’acqua posta in primo piano in Punta S. Salvatore (1940 circa; ivi, cat. n. 128, p. 97). L’artista triestino approfondirà l’atmosfera silente e la calma quasi palpabile che connotano queste opere in quello che è l’ultimo paesaggio del suo catalogo, Paesaggio carnico, realizzato nel 1950 e pervaso da un senso di quiete amplificata dalla solidità dei volumi che lo compongono (ivi, cat. n. 209, p. 136). Presentato alla personale ospitata nella Sala comunale d’arte di Trieste fra il dicembre del 1953 e il gennaio seguente, Laguna di Grado non si può dunque semplicisticamente intendere come un nostalgico revival di tendenze del passato ma piuttosto come un loro originale e attuale ripensamento svolto gradatamente a partire dalla fine degli anni Trenta. Il pointillisme cui si appellano i tocchi blu e gialli disseminati nel paesaggio marino non vanno infatti a costruire delle forme precise ma si giustappongono sovrapponendosi a un fondale precostituito e di per sé piuttosto uniforme allo scopo di irradiarlo di punti luce con esplicita funzione decorativa. Unico oggetto chiaramente definito, la barca alla deriva viene precisata da pennellate rapide e spesse che, in modo quasi infantile, ne descrivono solo gli elementi di spicco maggiore (lo scafo, la vela) lasciando in una confusa indeterminatezza gli altri dettagli. Rispetto alla contemporanea produzione di Sambo il dipinto si configura come una sorta di divagazione da un percorso che, sin dalla fine degli anni Venti, aveva portato l’artista triestino a una personale riflessione sulle problematiche compositive di Novecento e del gruppo di Valori Plastici, condividendone le tensioni verso un’arte orientata alla semplificazione e a una meditata osservazione del reale. Le composizioni dai toni ribassati e modellate secondo una sintesi che avevano avvicinato Sambo a soluzione neocubiste (visibili già in Espropriazione per pubblica sicurezza, del 1934; cfr. ivi, cat. 115, p. 87) vengono dunque momentaneamente abbandonate per un ritorno di fiamma dell’artista verso i fuochi d’artificio cromatici della sua prima produzione.