Per tutta la modernità l’Africa (così come gran parte di ciò che una volta si definiva Terzo Mondo) subisce la geografia politica dell’Europa Occidentale (EO), svolgendo un ruolo che è stato definito, a seconda delle interpretazioni, di “subalternità” o di “sudditanza”, di dipendenza strutturale o ideologica. Una condizione che finisce per essere oggetto di stereotipi, prodotti da una politica e anche da un immaginario sempre alla ricerca di giustificazioni e di mitologie, tutti comunque “prodotti” della cultura occidentale di questi secoli. Verso la fine di quell’epoca, a partire dalla seconda metà del ‘900 e dalla decolonizzazione, si afferma una nuova fase che significa per l’Africa la maturazione di una consapevolezza, e per l’Occidente un altrettanto faticoso – e contraddittorio - processo di critica e auto-critica. In questo periodo i nuovi stati africani cominciano a elaborare un’idea di riscatto che finisce sempre per coincidere con un progetto di sviluppo: un concetto e anche una serie di esperienze che finiscono per connotare il continente, che resterà spesso quasi ostaggio di teorie, esperimenti e ideologie che caratterizzano la questione dello sviluppo a qualsiasi scala.