Quali che siano le forme di riciclo che riusciamo a praticare, la pressione della crescente quantità di rifiuti e delle strategie che in qualche modo vi si confrontano finisce per influire inevitabilmente sulla nostra maniera di pensare, determinando un curioso scambio di strumenti tra il “basso materialismo” dello “junkspace” e il mondo immateriale delle idee. Ci troviamo dentro a una specie di borgesiana biblioteca di Babele in cui potenziali capolavori stanno accanto a opere insignificanti o del tutto prive di significato e i nostri strumenti per capire la differenza risultano sempre più inadeguati.
In questa situazione, il riciclo diventa insieme una condizione inevitabile (qualcuno, da qualche parte ha già avuto la nostra stessa idea) e irraggiungibile: mancando una netta distinzione tra “buono” e “cattivo” scarseggiano anche i rifiuti culturali da riutilizzare e, con essi, la possibilità di operare quello scarto significativo che stiamo cercando.