Il litisconsorzio facoltativo improprio, introdotto nel 1940, è disciplinato all’art. 103 del codice di procedura civile, ove è legge che più persone possano agire o essere convenute in uno stesso processo, qualora la decisione dipenda «totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni».
Il nostro legislatore, nella più ampia fattispecie di connessione oggettiva, ha distinto, da un lato, la connessione cd. propria (oggettiva e causale), la quale è caratterizzata da una «connessione giuridica», nella quale i litisconsorti sono vincolati da un rapporto giuridico sostanziale, avente elementi essenziali condivisi tra più soggetti; dall’altro, la connessione cd. impropria, nella quale non vi è alcuna comunanza di elementi di identificazione dell’azione, che sono, quindi, del tutto diversi sia per il titolo sia per l’oggetto e, tuttavia fra le domande cumulate vi è una somiglianza, un’affinità, determinata dal carattere pregiudiziale delle identiche questioni.
La connessione impropria è un istituto da sempre dibattuto nella dottrina processualcivilistica, a causa delle difficoltà interpretative legate alla sua nozione e al peculiare svolgimento del processo; il legislatore ha, peraltro, nuovamente attribuito rilievo alla connessione per identità di questioni nell’ambito della riforma del processo del lavoro, sancendo all’art. 151 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile l’obbligatorietà della riunione delle cause «connesse anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende, totalmente o parzialmente, la loro decisione», norma che ha trovato una vasta applicazione per opera della giurisprudenza.
Lo studio è finalizzato, quindi, a una definizione il più completa ed esaustiva del concetto di connessione impropria nella sua portata dogmatica e nella sua disciplina positiva, soffermandosi, in particolare, sulla tematica dell’armonica decisione di cause affini.