L’interpretazione della legge penale non può discostarsi dalla normativa sull’interpretazione della legge in generale, quale espressa dall’art. 12, comma 1, delle preleggi. Tale dettato, per quanto vada ad esplicare le diverse tipologie o modalità, quale l’interpretazione letterale (“significato proprio delle parole”), sistematica (“secondo la connessione di esse”) e teleologica (“intenzione del legislatore”), presenta il profilo della latitudine della stessa, quale l’interpretazione riduttiva ovvero quella estensiva. Il problema si presenta particolarmente significativo nel delineare soprattutto il rapporto, ovvero, rectius, il confine fra l’interpretazione penale estensiva e l’analogia, la quale, com’è noto, è vietata nel diritto penale ai sensi dell’art. 14 delle stesse preleggi.
Peraltro, se tutti questi temi possono e debbono essere approfonditi, non si può non far menzione che l’interpretazione del diritto, nella sua essenza e definizione, costituisce un argomento di forte dibattito nel contesto della teoria generale del diritto fino all’irrompere della questione della vincolatività, o meno, del precedente interpretativo giurisprudenziale.
Peraltro, il richiamo, in prima ed ultima istanza, all’art. 12 preleggi nella sua apparente esaustività potrebbe sembrare anche semplicistico, posto che sempre più il nostro ordinamento deve confrontarsi anche con i princìpi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), quale espressi dalle decisioni della relativa Corte di Strasburgo (Corte CEDU).
Il quadro, pertanto, viene ad ampliarsi alquanto, anche se il punto di partenza e di necessario riferimento non può che essere rappresentato dalle norme che la Costituzione dedica al sistema penale.