L’esplorazione dello spazio è il moderno confine ultimo dell’umanità, l’esplorazione di questo
nuovo immenso oceano che ci si apre davanti è carica di sfide, avventure e difficoltà. È un
ambiente nuovo, diverso e ostile alla nostra permanenza, il solo raggiungerlo ci impone di
risolvere una serie di problemi che normalmente non dovremmo nemmeno affrontare:
pressione, ossigeno, radiazioni, sono solo alcuni dei parametri che sul nostro pianeta diamo
per scontati ma che nel vuoto dello spazio attraversato da letali raggi cosmici ad alta energia
sono di vitale importanza.
Così come lo spazio è quindi un confine fisico per l’uomo, lo è anche dal punto di vista della
conoscenza. L’osservazione di fenomeni astronomici, il loro studio e le indagini che si fanno
sulla Terra riguardano la conoscenza della realtà in cui siamo immersi, dallo studio di
inafferrabili particelle subatomiche come i neutrini a quello di fenomeni
incommensurabilmente grandi ed energetici come la fusione di buchi neri che scatenano
onde gravitazionali, ci portano a rivolgere sempre lo sguardo in alto, in cerca di risposte.
Non sorprende allora che anche nel contesto della comunicazione della scienza lo spazio
sia ancora una volta una zona di confine. Un luogo limite che sa essere prodromo di nuovi
approcci, in cui si cerca di affrontare nuove sfide comunicative su un argomento che, per
quanto incredibilmente affascinante di per sé, stranamente è troppo spesso trattato in
maniera scialba, poco curata o al più arretrata. Si ha il sentore che la comunicazione
istituzionale delle imprese spaziali, in particolar modo di quelle automatiche effettuate con
sonde, sia guidato da un approccio di tipo top-down, da un’ottica che attinge a piene mani
dall’ormai superato deficit model. Devono essersene resi conto anche all’Agenzia Spaziale
Europea e probabilmente anche per questo motivo hanno provato ad affrontare il confine.
Da queste e altre riflessioni deve essere nata la campagna di comunicazione della missione
Rosetta, «the biggest success in the history of European Space Agency outreach»1, una
missione ambiziosa, anche nella sua comunicazione, che è stata sviluppata su diversi binari
paralleli ma tutti legati da una stessa idea di fondo: coinvolgere il pubblico. La colonna portante della campagna di comunicazione è stato il cartone animato ad episodi
“Once upon a time” nel quale le due sonde Rosetta e Philae, in versione antropomorfizzata,
mettevano in scena lo svolgersi dei fatti man mano che questi accadevano nel mondo reale.
Un cartone animato di grande successo, grazie anche alla voce che è stata data alle due
sonde, che, ciascuna con il suo profilo Twitter, potevano esprimersi in tempo reale sugli
avvenimenti della missione, interagendo fra loro e con il pubblico sempre più interessato
alle vicende di questi due piccoli eroi.
Dato il particolare interesse che la campagna di comunicazione (e quindi la missione) ha
generato nel pubblico, e nel sottoscritto – è anche grazie alla missione Rosetta se ho deciso
di intraprendere la strada della comunicazione della scienza – ho voluto approfondirla, in
particolare riguardo ciò che Rosetta e Philae hanno condiviso con noi che siamo rimasti
sulla Terra ad osservare mentre, a oltre mezzo miliardo di chilometri, si svolgeva una grande
avventura.