Il paesaggio del Friuli Venezia Giulia è punteggiato dai lasciti di scenari bellici che – concreti o paventati – hanno contribuito a plasmare i luoghi di un confine la cui mobilità si è perpetuata negli ultimi due secoli. Forti e strutture difensive, caserme ed edifici isolati, aree di addestramento e poligoni, aeroporti, infrastrutture e ambiti di rispetto, polveriere e depositi munizioni: lo spazio della regione è ritmato in maniera serrata dai recinti di tanti beni militari ora in disuso. Una presenza fattasi ancora più consistente nel secondo Novecento – in particolare durante la guerra fredda – quando il Friuli Venezia Giulia era una delle aree più militarizzate del Paese e d’Europa. Baluardo strategico verso gli Stati del Patto di Varsavia e luogo della “naia” dove si concentrava circa il 70% della forza operativa militare nazionale, negli anni ’60 e ’70 questo territorio veniva descritto come coperto per il 50% da servitù militari.
Trattasi di una stima di massima che, pur supportata dall’evidenza empirica, ancora sconta la complessità di reperire fonti ufficiali utili a costruire mappe d’insieme di un ricco patrimonio, a definirne le esatte dimensioni e assetti materiali, così da farne oggetto di strategie territoriali di conversione. Con queste difficoltà si sono di recente confrontate varie ricerche . Tra di esse, quella condotta dall’Università di Trieste che, per più di un decennio, si è focalizzata sulle ex caserme e sulle loro possibilità di riuso, mettendo in campo molteplici approcci e metodologie di indagine, oltre che numerose esplorazioni di progetto sviluppate con il supporto di diversi Comuni