Il concetto di Verità elaborato dalla filosofia classica, e vivificato dall’apporto cristiano, vacilla vistosamente tra il XVI e il XVII secolo. Al suo posto subentra quello di verosimiglianza - proposto dallo scetticismo di Pirrone al tramonto della polis greca - rivalutato nel XVI secolo da Montaigne e Charron ed elevato poi a fondamento di un sapere all’altezza dei tempi dai sempre più numerosi seguaci del “libero pensiero”. La verità è ricerca senza una meta prestabilita, una “queste” infinita guidata esclusivamente dal riferimento alla ragione e all’esperienza e alla comunicazione. Questa ansia innovatrice non lascia indifferente Sorbière che si allontana dal calvinismo per interrogarsi sui rapporti tra libertà umana e prescienza divina e fa suo il motto di Orazio “sapere aude” invocato dall’amico e maestro Gassendi. In una rivendicazione piena della libertà di pensare, di cercare e comunicare le verità possibili al di fuori dei limiti imposti da qualsiasi Chiesa, dogma o ragion di Stato.