La storia della fine di Boris Pil’njak, arrestato come spia giapponese, può essere riletta alla luce di quella dell’autore delle Glosse al suo libro di viaggio, Roman Kim. Arrestato anche lui come spia giapponese, questi riuscì a sopravvivere inventando storie incredibili sulla sua vita. Kim era davvero una spia, un agente dell’OGPU che si occupava dell’ambasciata giapponese a Mosca, e conosceva le logiche seguite dall’organizzazione. Una volta rilasciato, si sarebbe costruito una robusta carriera di scrittore di spy-thrillers. Il caso di Kim, dove realtà e finzione si scambiano continuamente di posto con effetti paradossali, offre l’occasione per uno sguardo diverso sulle peculiarità del funzionamento del sistema letterario sovietico, e per una nuova comprensione delle ragioni di incompatibilità tra Pil’njak e quel sistema.