Nell’an¬tichità la navigazione era un’attività avventurosa, faticosa e rischiosa, se non di condanna, come nel caso dei forzati ai remi delle “galere”, mentre la navigazione per diporto era appannaggio di re e potenti e quindi un feno¬meno raro e privo di traccia normativa. La tradizione è rimasta ed anche ora i re ed i vip continuano a possedere navi ed a navigare. Solo alla fine del XIX secolo, con la scoperta del mare quale ambiente di riposo, cura e vacanza estesa a più ampi ceti sociali non elitari si è aperta la navigazione anche a strati di popolazione lontani geograficamente dal mare e privi di risorse favolose. Da qui l’escalation che ha portato all’attuale fenomeno di massa che non accenna a manifestare indici di flessione. Con il Codice della navigazione, frutto di un ampio dibattito dottrinale di cui fu indiscusso capofila lo Scialoja, si è avuto il primo salto di qualità an¬che sistematico della nostra materia poiché la sua trattazione non è stata relegata nelle norme del regolamento come nel sistema ottocentesco, ma trova spazio nel testo cardine evidenziando la presa di coscienza di una problematica che merita la dovuta attenzione.