Il ruolo della vittima nel procedimento penale può essere colto, nella sua dimensione effettiva, solo se il metro di misura è offerto dai portati fondamentali del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, nonché – nella fase iniziale del procedimento – dalle loro complesse interrelazioni con modus e ratio essendi del segreto; rivestono, invece, una funzione ancillare le singole prerogative riconosciute alla vittima, declinate in termini di poteri, diritti e garanzie: la formale titolarità d’esse, se sganciata da un’analisi di contesto, non consente di stabilire se il soggetto di riferimento è in grado di partecipare, in modo consapevole e incisivo, alle dinamiche del rito, o se, invece, la sua presenza si riduce alla mera apparizione scenica di un convitato di pietra «sostanzialmente inefficace». È proprio da questa angolatura prospettica che la direttiva 2012/29/UE rivela – quantomeno per le sue implicazioni di natura processuale – l’aspetto più anodino.