ella ex Iugoslavia degli anni ’90 sono state combattute le uniche guerre “tradizionali” che si siano avute sul continente europeo dopo il 1945. Pertanto i Balcani, ed in particolare la martoriata Bosnia Erzegovina di quegli anni, sono stati naturale ogget-to di interrogazione e anche di indagine scientifica per cercare di capire i motivi per cui dopo decenni di coesistenza pacifica i vari gruppi etnici siano venuti alle armi, e soprattutto per contribuire a dare a questa area un assetto che potesse prevenire nuovi conflitti. Per questo motivo una ricerca sociologica sulle relazioni tra diverse comunità nel Cantone di Mostar è risultata particolarmente preziosa. Nell’articolo che segue dunque vengono sinteticamente presentate le risultanze di quel fieldwork, che anche se non recente pare rappresentare una situazione per certi versi ancora valida oggi, in cui ricompaiono inconfessabili piani per una nuova spartizione del precario edificio prodotto a Dayton 25 anni fa. Ma l’ambizione di questo testo è di presentare tali risultanze secondo una peculiare ottica, che ha come fo-cus il modo in cui la cosiddetta Comunità internazionale, e quindi nello specifico le classi dirigenti dei Paesi occidentali, tendono a vedere le popolazioni balcaniche. Tale approccio, che usa la vicenda reale di uno scienziato francese del Settecento, ci permette di analizzare non solo la realtà di Mostar di questi anni, ma anche disvela come funzionano le scienze sociali della Modernità, nei loro utili punti di forza, ma anche nei loro magari inconsa-pevoli pregiudizi. The Yugoslavia of the 1990s was the theatre of the only “traditional” wars to be fought in Europe since 1945. The Balkans, therefore, in particular the long-suffering Bosnia Herzegovina of those years, have been the natural focus of questions and academicstudies in an effort to understand why, after decades of peaceful co-existence, the various ethnic groups resorted to armed conflict, and above all to contribute to giving the area a configuration able to prevent further conflicts. In this regard a sociological research project on relations between the various communities in the Canton of Mostar has proved particularly valuable. The following article provides a brief presentation of the results of that fieldwork which, though not recent, seems to represent a situation in some ways still extant today, including the reappearance of ignoble plans for a new partition of the precarious edifice produced by the Dayton Accords 25 years ago. But the aim of this article is to present the results in a particular light, focusing on how the so-called international community, or more precisely the ruling classes of the Western countries, tend to view the Balkan peoples. This approach, using the actual experience of an 18th-century French scientist, not only enables us to analyse the recent situation in Mostar, but to shed light on how modern-day social sciences work – in their useful strengths and their (perhaps) unwitting prejudices.