Un’indagine sul suo lavoro di traduttore di Lelio Manfredi permette di misurare l’esito diverso in Italia di due letterature europee, l’una, quella catalana, ormai al tramonto (temporaneo), l’altra, quella spagnola, alla vigilia del su Siglo de oro, oltre che inquadrare il gusto dei lettori di quel periodo e, attraverso il movimento del loro orizzonte d’attesa, il grado di affinità allora percepito tra le opere importate e i generi autoctoni. In più, l’analisi di questo sforzo, per lo meno nelle due fasi appurate, quella del Carcer e quella del Tirante, restituisce un modello dei cambiamenti della sensibilità linguistica, oltre che estetica, nei pressi della riforma del Bembo. Infine l’approfondimento in termini filologici di queste traduzioni, nella forma testimoniata dalle prime edizioni, conferma la conservatività di una area laterale, in questo caso quella italiana, dove giungevano i testi originali nella veste più antica e non facevano tempo a essere obliterati dalle loro riedizioni più scorrette.