È sin troppo noto il severo giudizio di Wilamowitz sull’ecdotica degli Umanisti, dalla quale, a suo dire, non ci si poteva attendere alcuna attività filologica in senso stretto: un giudizio che ha gravato su un terreno di ricerca forse (e forse anche per questo) troppo poco indagato, ed è stato da ultimo decisamente avallato dall’autorità di Kenney. Pure, le prefazioni ai tragici nel breve torno di tempo dal Sofocle di Tournebus (1553) all’Euripide di Canter (1571), qui per la prima volta raccolte, tradotte e commentate con l’appendice di quelle ai postumi Sofocle ed Eschilo del filologo batavo, raccontano tutt’altra storia: esse delineano infatti un vero e proprio iter responsionis che, recependo i frutti migliori della filologia bizantina di età paleologa, e soprattutto di Demetrio Triclinio (il ‘riscopritore’ della struttura dei canti melici del dramma), ha portato al riassetto metrico definitivo dei tre tragici superstiti, influenzando una volta per tutte l’editoria drammatica successiva. Quanta ‘filologia’, e nella fattispecie ‘filologia metrica’, vi fosse poi nella di poco precedente epoca delle principes rimane tutto da indagare.